Molto conosciuto negli ambienti della
criminalità mafiosa di quegli anni, si distingueva per la sua fine ed acuta
sensibilità psicologica che, coniugata alla perizia investigativa, gli
permetteva di penetrare a fondo nel territorio, giungendo a comprendere e ad
intuire anticipatamente la pericolosità e la forza dirompente
dell’organizzazione mafiosa, a quell’epoca non ancora ben delineata nella
sua composizione e struttura.
Queste caratteristiche gli sono valse, da parte
della stampa, appellativi come “segugio temuto dai boss” e “specialista
in casi difficili”.
La causa della sua morte va ricercata in una
indagine, svolta nel 1980 e conclusasi con un “esplosivo” rapporto dal
titolo “Savoca più quarantaquattro”, all’interno del quale venivano
individuate le gravi responsabilità e i loschi affari di personaggi di
spicco della mafia dell’epoca, tra cui la famiglia Spataro.
Il principale settore incriminato era quello del
contrabbando delle sigarette, che cominciava a legarsi al traffico delle
sostanze stupefacenti.
La gravità della scoperta fatta e i danni, che
essa avrebbe provocato agli affari malavitosi, furono tali da mobilitare, il
10 Settembre del 1981
in Piazza Principe di Camporeale, uno staff di tutto prestigio della mafia
dell’epoca, composto da una decina di uomini, tra i cui nomi spiccavano
quelli illustri di Pino Greco (soprannominato “Scarpuzzedda”), di Salvatore
Cangemi e di Salvatore Cucuzza.
Proprio questi ultimi due, vestito poi il ruolo
di collaboratori di giustizia, hanno consentito di ricostruire i fatti
criminali all’interno del processo, che si è aperto il 5 Aprile del 2002 e
che si è concluso nel Giugno 2003 con la condanna all’ergastolo, in primo
grado, del principale inquisito, Tommaso Spataro.